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Se ne vanno. Andranno. Come nuvole di una canzone di De Andrè.
Le Vele prenderanno il largo. Una andrà verso Portorico, una verso l’Argentina e magari un’altra veleggerà verso l’isola di Salina, l’isola del Postino, dove magari farà incontrare Neruda e qualche Mariarosaria o Annarella.

Saranno abbattute le tre Vele. Si porteranno dietro amori di ballatoio, canzoni di Tommy Riccio e Pino Daniele, Maria Nazionale e coltellate sferrate di notte.

Droga, armi, baci, snidate, palpate di culo, promesse e passioni. Andranno.

Finirà il loro essere cantate e abusate. Da chi le ha amate e da chi le ha contrabbandate. Da chi di esse si è servito per sciacallare e farci soldi e da chi ne ha fatto uno scenario d’Amore senza fine.

Saranno abbattute e con esse andrà via un pezzo di storia. Che forse non sarebbe proprio dovuto cominciare. Che forse sarebbe dovuto andare in un altro modo. Con i fantasmi di Testori e Pasolini che vi si aggirano, fumanti e pensosi, col Fabbricone della Milano periferica o coi Ragazzi di vita che della vita non conoscevano niente se non furti e dolori. Se ne vanno lasciandosi dietro mattanze e fiori bianchi.

Lacrime di madri affrante come una Mammaroma gigantesca. Padri con gli occhi abbassati e sentinelle e vedette che aspettavano un Titanic che non sarebbe mai arrivato. Se ne vanno e con esse se ne va anche una parte di me. Ad esse dedico il racconto «un gelato pistacchio e limone» che racconta di due adolescenti che non avendo niente da fare in un agosto assolato se ne andarono su in cima ad una delle Vele e non avendo panorami da guardare si persero nella costruzione del nuovo carcere di Secondigliano. Che il mare della vita vi assista e vi offra lagune blu.

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