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Avevo sedici anni nel 1972 quando uscì Ulti-mo Tango a Parigi.
Il film era vietato ai minori di 18 anni e io al cinema Augusteo non sarei potuto entrare.
Ma sembravo più grande di quella età ancora innocente e riuscii a infilarmi.
Da quasi cinquant’anni quindi mi accompagnano le immagini di quel capolavoro che ho eletto a mio film della vita. Certo ne ho amati tanti altri, ma quello là è stato un foro nell’anima e un tarlo nella mente.
All'epoca data la mia gio
vane età, certi passaggi mi sembrarono oscuri ma poi rivedendolo negli anni non ho mai avuto più dubbi. C’è una canzone degli Afterhours che dice: Non c’è più niente che sia per sempre.
E invece per me il tango di Bertolucci è stato e lo sarà per sempre.

Guardavo quelle immagini e sognavo.

Non sapevo ancora che il cinema da spettatore e poi da attore avrebbe fatto parte della mia vita.

Successivamente da un amico americano mi feci inviare la colonna sonora originale di Gato Barbieri che in Italia all’epoca non si trovava.
Bernardo e Gato sembravano essere nati per fare quel film eper comporre quella musica. 
Quante volte nei momenti difficili della mia vita ho ripescato quel disco e mi sono lasciato attraversare da quelle note che subito mi riportavano alle immagini del mio film.

Credo che la scena ambientata nella balera di periferia in quella Parigi scalcagnata ma fantastica, davanti ai benpensanti che ballavano per un concorso, sia una delle cose più belle che il cinema ci abbia regalato.

Ora che Bernardo Bertolucci se ne è andato quella scena mi ritorna davanti agli occhi e mi rimanda alla sua voce, alla voce del regista che in un pomeriggio di cinque anni fa, dopo aver visto un piccolo film in cui avevo partecipato, Take five, per la regia di Guido Lombardi, mi telefonò e per lunghi secondi io non riuscivo ad articolare suono.
Ma come era possibile? Il grande Bernardo mi chiamava? Nonon era possibile...E invece era vero.
Mi disse: ho visto il film...non è completamente riuscito in verità ma la sua interpretazione è da incorniciare.
Ora che sto scrivendo queste parole, quel foro nell’anima si èamplificato, il tarlo nella mente è diventato enorme.
Non ho mai incontratoil maestro nella mia vita, ma ho ascoltato la sua voce gentile e la conserverò gelosamente.
Sapevo che era infermo e su una sedia a rotelle e, se fosse stato possibile, gli avrei donato tutta l’energia di tutti i giovani che insieme a me all’epoca vedendo il film si innamorarono di quei fotogrammi che si sono tatuati sulla pelle.
Grazie Maestro, grazie per la sua enorme sensibilità, per il suo talento infinito.

Peppe Lanzetta
da "Il Corriere del Mezzogiorno"
27/11/2018

 

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